La fiaba dell’angelo in rivolta

La fiaba dell'angelo in rivolta

Intervista a Pietro Marcello

Come è nato il progetto di Bella e perduta?

Inizialmente era stato pensato come un viaggio sulle tracce di Piovene che, negli anni ‘50, fece per la Rai un’inchiesta che poi divenne un libro (Viaggio in Italia, ndr). pietromarcelloScelsi di partire dalla Campania perché era il territorio che conoscevo meglio, e in particolare dalla Reggia di Carditello, in cui è avvenuta la mia formazione alla bellezza: uno dei tanti monumenti artistici che in Italia ci permettiamo di lasciare nell’abbandono più assoluto… Mi interessava capire quale fosse la temperatura del Paese, sondarla per mezzo di un’indagine filmata, poi Bella e perduta si è trasformato in qualcos’altro. Con lo sceneggiatore Maurizio Braucci siamo partiti da un semplice canovaccio ma, a un certo punto, abbiamo dovuto fare i conti con una situazione imprevedibile ed estremamente complicata, che poteva risolversi solo con l’intervento della fiaba. In questo senso, posso dire che la scuola del documentario per me è stata fondamentale, perché è lì che ti fai le ossa e impari a gestire gli imprevisti.

E l’incontro con Tommaso, “l’angelo di Carditello”, com’è avvenuto?
Tommaso è un eroe del nostro tempo: un uomo semplice, un pastore cresciuto nelle campagne, affascinato da tutta questa bellezza he gli stava intorno, anche se non sapeva come prendersene cura. Era una sorta di “poeta che non sa scrivere”, come Kaspar Hauser, che conosce la storia ma non la può raccontare. Il paradosso di tutta la vicenda è che un posto come quello, con affreschi di Hackert, fosse finito in mano a un pastore, a fronte di uno Stato totalmente assente - perché poi l’altro grande paradosso è che a pochi passi dalla Reggia c’è un’enorme discarica… E dove lo Stato è assente, ci sono il Bene e il Male, la resistenza e “l’uomo in ivolta” di Camus, l’Angelo insieme al Diavolo. Tommaso era questo: “l’uomo in rivolta”, molto scettico nei confronti della società civile… Anche se confidava molto nell’ex ministro dei Beni Culturali, Bray, che si presentò da lui in bicicletta e gli promise di occuparsi della Reggia in un momento in cui sembrava non interessare a nessuno. Nei decenni precedenti era stata depredata in ogni modo: sono state portate via le scale, i camini e i comignoli, tutto quello che si poteva portare via è stato portato via… La cassa del ezzogiorno vi realizzò all’interno un Museo agricolo e pure quello fu completamente depredato… c’è gente che ci ha fatto dentro la
latitanza…

Come hai ideato le soggettive del bufalo?
Ho trovato una vecchia macchina a manovella che era in grado di dare la giusta scansione del tempo e ho messo insieme un grandangolo “aberrato”, per così dire. Dentro di me mi chiedevo “Come guarda il bufalo?” e così ho fornito una mia libera interpretazione dello sguardo di Sarchiapone.

La voce di Sarchiapone, dagli echi leopardiani, è affidata a Elio Germano. Quali sono le ragioni di questa scelta?
Avevamo bisogno di una voce che desse profondità al testo che avevamo scritto. Germano ci è sembrato l’attore in grado di entrare in relazione con il film. Quello che decisamente non volevo fare era il “Bambi parlante”, cercavo una voce interiore in grado di fare dell’animale un personaggio vero e proprio, così come lo era stato Tommaso… Si tratta di un’animale che scappa da una morte prematura: anche il bufalo è un eroe! All’inizio pensavo di concentrare il film sulla figura di Tommaso, che salva questo bufalotto dalla morte. Poi le circostanze mi hanno fatto cambiare direzione e, da un certo punto in avanti, Sarchiapone ha preso il posto di Tommaso. L’animale è una vittima del nostro sistema: un tempo i bufali trainavano i trattori ed erano amici dell’uomo, oggi sopravvivono solo le femmine per produrre latte. Così Sarchiapone è il simbolo di un’alleanza perduta con il declino del mondo contadino e la sua voce può essere sentita da Pulcinella, una maschera che collega il mondo dei vivi e quello dei morti, anche se solo per il tempo di una fiaba.