La materia oscura del cinema

Intervista con Massimo D’Anolfi e Martina Parenti

In che modo la vostra ricerca ha intercettato il tema dell’immortalità, e come avete capito che storie così piccole, spesso legate alla quotidianità dei loro protagonisti, potevano restituirlo?

Massimo D’Anolfi: Dopo Materia oscura, che era un film sulla cecità e la sciocchezza dell’uomo e sull’orrore che potevano generare, abbiamo immediatamente orientato la nuova ricerca a una tensione opposta, positiva, cercando storie che raccontassero il lavoro dell’uomo lungo il solco che separa il tempo limitato delle nostre vite da un tempo più grande, potenzialmente inesauribile. Il film non vive di conflitti, ma appunto di una grande, comune tensione tra i diversi episodi.

Martina Parenti­: Quanto al rapporto tra le storie e lo slancio che condividono, esiste sempre una sorta di fisarmonica tra le cose piccole che gradualmente si allargano e diventano grandi. Spira Mirabilis è come un puzzle sull’immortalità: all’inizio le tessere sono sparse, poi si crea una piccola cornice che aiuta il film a non esplodere dappertutto, e alla fine di tutti questi piccoli frammenti puoi creare un’immagine compiuta, che ha il suo senso. È come un gioco di tessere.

Quale patto avete creato con i personaggi del documentario, tenendo conto che negli episodi dell’acqua, dell’aria e della terra la parola viene quasi completamente a mancare?

MDA: Se si vuole ottenere un film che faccia a meno della parola, nel rapporto che si instaura con le persone bisogna imparare a sottrarla. Spesso, è evidente, si parla solo per convenzione e questa situazione si può facilmente evitare, soprattutto se, come noi, si sceglie di riprendere persone che non si conoscono e con cui si entra in contatto solo per il film. Se tu chiarisci questo aspetto e provi a stare nello spazio in una modalità silenziosa, nel film si sentirà. Già ne I promessi sposi si trattava di provare a sparire: sparisci se impari a respirare in un determinato modo, ti muovi con cautela, se non fai richieste stupide.

MP: Questo fa parte di come uno filma, di come sta mentre sta filmando. È importante imparare ad essere un po’ reticenti, a defilarsi. È ridicola questa grande confidenza che molti documentaristi danno ai propri personaggi. È giusto, naturalmente, avere fiducia gli uni degli altri, perché altrimenti non c’è alcun patto, e se non c’è patto, se non ci si fida reciprocamente, non si può filmare. Però deve essere anche chiaro che tu sei lì per realizzare un film. E l’altro deve avere fiducia nel fatto che quello che restituirai di lui sarà qualcosa di buono e bello, e non il contrario.

 

Come è stato condotto il montaggio, considerato che il film realizza una struttura intrecciata, speculare, e non separata, fra le sue diverse parti?

MP: Per comporre Spira Mirabilis abbiamo prima montato singolarmente gli episodi: quello della terra sul Duomo di Milano, quello dell’acqua in Giappone, quello del fuoco sui Lakota e quello dell’aria con Felix e Sabina. Non sapevamo come si sarebbero mescolati, ma in virtù del fatto che dentro a ciascun episodio c’è una piccola narrazione di fondo, è stato facile unire gli inizi di ciascuno, connettere le “piccole morti” di ogni racconto a metà film, e poi procedere verso la conclusione.

 

Come siete arrivati all’episodio dell’etere? Non è scontato pensare al cinema attraverso un’idea di voce.

MP: L’immortale di Borges si conclude con queste parole: “Quando si avvicina la fine, non restano più immagini del ricordo, restano solo parole.” Ovviamente Borges era uno scrittore, non poteva chiosare diversamente. Abbiamo ritrovato questo racconto dopo le riprese, eppure ci sembrava che seguisse perfettamente il nostro viaggio, che in definitiva è un percorso di accettazione della morte. Per connettere l’etere all’omaggio al cinema, abbiamo subito pensato di far leggere Borges a una grande attrice, Marina Vlady ha immediatamente aderito.

MDA: Con lei pensavamo di girare in un luogo simbolico, quando abbiamo visitato la Kinemathek di Berna abbiamo scoperto un luogo formidabile, denso di archivi, di memorie. Qui abbiamo anche trovato due filmati stupendi sull’industria svizzera di precisione. Si noterà che nella Kinemathek c’è uno schermo che si può alzare e abbassare, il che ci ha offerto lo spunto per un’ulteriore riflessione. C’è una confusione tra cosa sia un film e cosa sia un cinema. La sala cinematografica forse scomparirà, ma la proiezione sarà ancora possibile, ovunque. Così quando lo schermo si riavvolge, il cinema in quanto sala forse muore ma il film va avanti, e le proiezioni continuano sul volto di Marina, sulle pareti, ovunque.