Fare cinema con la vita

Con Antioco Floris, nel tempo, abbiamo messo a punto una formula che condensa in un mese l’esperienza didattica che in una scuola come il Centro Sperimentale di Roma viene distribuita nell’arco di un anno. Si parte da un’idea, un soggetto – in questo caso proposto da Rossana Patricelli, che in precedenza ha partecipato al laboratorio di sceneggiatura adiacente al nostro –, dopo di che la sceneggiatura viene “processata”, condotta verso una versione il più vicino possibile a quella che sarà la messa in scena. In seguito cominciamo a conoscere gli ambienti, gli attori… e stavolta era particolarmente importante conoscerli, perché si è trattato di persone che hanno vissuto davvero l’esperienza raccontata nel corto, e davanti al loro racconto la sceneggiatura ha cominciato ad arretrare per dare spazio al vissuto. Tanto che c’è molta differenza rispetto al testo di partenza, in particolare il finale è di segno completamente opposto.

A quel punto entra in campo una troupe molto ridotta, composta in gran parte da ragazzi del corso a esclusione del direttore della fotografia che volevamo fosse un professionista, nella consapevolezza che si tratta di una responsabilità che non si può dare a un ragazzo troppo giovane, mentre tutti gli altri – scenografo, costumista, fonico – sono ruoli ricoperti da studenti partecipanti al laboratorio. Con loro siamo andati in un centro di accoglienza per immigrati e abbiamo fatto una lunga serie di incontri, poi abbiamo convocato all’Università alcune madri con le rispettive figlie, le abbiamo fatto parlare – materiale che abbiamo conservato, perché i loro racconti erano interessantissimi – e sulla base delle loro testimonianze abbiamo cominciato a rivedere la sceneggiatura. Ad esempio: se in origine la coppia principale doveva essere formata da una madre e da una figlia naturali, in quella che abbiamo portato sullo schermo le due sono diventate una famiglia di fatto pur non essendo consanguinee, perché ci piaceva prendere in considerazione l’incognita che pesa sui loro viaggi: ci sono bambini che perdono il genitore naturale e si trovano “adottati” da chi era in viaggio con loro. Da quel momento si forma una sorta di nuova famiglia.

Salvatore Mereu